La consulenza con Simonetta mi è stata donata da una amica, non sapevo cosa trattasse il tuo metodo. Sapevo solo avesse a che fare con i Tarocchi.
Era il 17 Novembre quando abbiamo avuto la nostra chiamata via zoom. Proverò a raccontare ciò che ricordo. Alcune immagini sono ancora ben vivide nella testa, altre un po’ meno ma ricordo quanto sia stato sorprendente. Non ho mai fatto un’esperienza simile. Devo confessare che non ho mai fatto nessun tipo di esperienza “extrasensoriale” (non so se sia corretto definirla così). Quello che è stato ancor più sorprendente è che noi fossimo a contatto solo attraverso una video chiamata dal computer e che ci separasse in realtà una distanza di molti chilometri giacché abito a Vancouver, in Canada.
Mi sono affacciata a questa esperienza con il seguente proposito: capire la mia missione in questo mondo.
Simonetta mi ha mostrato il mio Mandala Tarologico, confesso che mi pento di non averlo fotografato per analizzarlo meglio. Abbiamo notato insieme fossero presente ben 3 ruote della fortuna nel mio cerchio. Una nella parte del mio passato, una sulla destra, nella parte del presente e una sul futuro. Questa ruota rappresentava una mia caratteristica di dinamismo, di Non staticità. Della mia vita movimentata. E parlando del mio proposito si può evincere che è collegato a una scoperta innovativa. Un’altra carta accennava a una perdita di qualcosa/qualcuno nel mio passato. Altri segnali, succedutesi anche durante l’esperienza, hanno fatto capire che si tratta probabilmente di un gemello/a astrale. Perso nei primi 3 mesi in cui ero nell’utero di mia mamma.
Dopo di che, non avendo i tarocchi, ho creato 14 pezzetti di carta con dei numeri, messi a coppie. Ho disposto 6 coppie di fronte a me orizzontalmente, più una coppia al centro sopra questa linea orizzontale. E da li Simonetta mi ha fatto iniziare il viaggio senza anticiparmi nulla di cosa si sarebbe trattato. L’unica cosa che sapevo è che avrei dovuto sentire ciò che mi diceva, prendere in mano queste carte con un preciso ordine, sentirle, respirarle, viverle sulla mia pelle, spostarle lungo il mio corpo in base a una mia soggettiva sensazione. Il tutto ancor meglio a occhi chiusi. E così ho fatto, ho chiuso gli occhi e preso in mano la prima carta. L’ho stretta tra i due palmi delle mani, l’ho respirata.
Nell’immediato non ho percepito nulla, la mia testa era ancora legata alla realtà tangibile, un po’ scettica un po’ ignara di cosa fare. Cosi sentii che dovetti portare la carta verso il mio cuore, all’altezza del terzo chakra. Continuai a respirare. Iniziai a vedere due colori, un verde acceso e un fucsia anch’esso elettrico. Questi due colori iniziarono a prendere la forma di un DNA. Iniziai a visualizzare un DNA elettrico. Simonetta mi chiese di dare un titolo a ciò che vedevo e a quello che sentivo ed io risposi: “Ritorno all’embrione”. Presi in mano l’altra carta, la respirai ancora, sentii una forte sensazione,mai provata.
Mi venne da piangere. Sentivo le lacrime scorrere sul viso. Lentamente, cercavo di trattenerle, non piango facilmente, nemmeno durante film drammatici. Quelle lacrime mi hanno sorpreso molto, non capivo bene da cosa dipendessero. Sentivo un sentimento di tristezza, quasi malinconica, nostalgica. Di qualcosa che non c’è più. Di qualcosa che forse non sapevo neanche che esistesse e/o che mi appartenesse. MA che avevo ritrovato e che avrei dovuto lasciar andare. Era quasi un pianto di commozione, accettazione. Triste ma consapevole che le cose erano giuste così. Ciò che è stato perso andava perso e tutto era perfetto così com’è. Appoggiai la coppia di carte e presi la successiva. Volevo sempre percepire le carte tra i palmi delle mani, prima di capire dove spostarle, dove sentirle e respirarle. Vidi ancora altri due colori. Il giallo e il blu, come un susseguirsi di giorno e notte. Vidi un sole bianco che però non emanava calore. Poi il buio. Raccontai a Simonetta del mio rapporto con il buio, del terrore che avevo da piccola fino agli 11 anni dove dormivo con una lucetta sempre accesa nel letto, con mia mamma a tenermi compagnia. Presi l’altra carta. Spostai le carte da davanti agli occhi dove le stavo tenendo, alla fronte. Verso il settimo chakra. Da li iniziai a sentire una forte pressione alla corona della testa. Una pressione non esercitata dall’esterno ma interna. Non dolorosa, ma quasi. Qualcosa che comprimesse il mio cranio.
Ora confesso che i miei ricordi sono un po’ confusi. Ricordo che ero sempre dentro questo buio ma ero tranquilla, non ne ero minimamente spaventata. Poi vidi un fuoco, una fiamma che ardeva. Ma anche questa non emanava nessun calore, rappresentava solo una luce nell’oscurità. E mi venne in mente il mito della caverna di Platone. Questo mito che rappresenta la scoperta, l’adattamento, l’evoluzione, la voglia di andare oltre.
Appoggiai la coppia di carte e presi la prima della terza coppia. Sempre prima respirata tra i palmi delle mani poi riavvicinata al cuore. Iniziai a vedere un’isola, vidi il mare da un lato e una ricca vegetazione dall’altro. Non conoscevo quel luogo, non l’ho mai visto di persona nella mia vita terrena. Ma stavo bene, non avevo la sensazione di essere in un luogo sconosciuto. Sentivo una sensazione di benessere.
Vidi delle anime avvicinarsi verso di me in cerca di aiuto. Non avevano la sembianza di persone ma capivo fossero anime.
Presi l’altra carta e da lì era più un susseguirsi di immagini a cui non sapevo bene dare un senso: vidi lo studio di yoga in mezzo alla giungla in cui ero stata in Costa Rica. È apparso così solo come immagine di un luogo. Lo consideravo un posto magico, mi piaceva molto come studio. Ma non che le due lezioni di yoga che avessi fatto li mi avessero lasciato qualche particolare bel ricordo. Vidi poi la luna, uno spicchio in realtà come se fosse un’eclissi.
C’era infine qualcos’altro che volevo vedere ma non ci riuscivo. Sentivo che avrei voluto e dovuto vedere questa cosa ma a causa dei miei occhi chiusi non potevo vederla.
Volevo aprirli. Ma la ragione mi diceva che se li avessi aperti avrei semplicemente visto camera mia, il luogo in cui mi trovavo in quel momento. E avrei perso tutto e sarei “tornata alla realtà”. Allora Simonetta mi disse che forse avrei dovuto utilizzare il terzo occhio. Da lì ricordai che proprio recentemente, un uomo, che per me è un po’ come un maestro, voleva insegnarmi a usare il terzo occhio.
Ci provai, ma sentii che mi era particolarmente difficile. Era una lotta. Una fatica fisica, come provare ad aprire una porta quando qualcuno dall’esterno te la tiene chiusa.
Ci stavo ancora provando, immersa in un totale silenzio. Fino a quando sentii il mio cellulare squillare. Era Simonetta che mi stava chiamando perché avevamo perso la connessione nella chiamata. Il mio computer era morto, non aveva più batteria e si era spento.
Sfortunatamente da li mi resi conto di che ore fossero e che sarei dovuta andare a lavoro e abbiamo dovuto interrompere il lavoro.
Anche se probabilmente non successe a caso. Quelle erano al momento le informazioni che ero pronta a ricevere