Una storia tra le mani

Gli occhi sono chiusi da un po’, sto viaggiando attraverso mondi che mi appartengono.

Adesso sono nel mondo di sotto, qui terra e materia fanno sentire la loro presenza, la voce pacata di Simonetta mi invita a cercare qualcosa che non riesco a immaginare. Mi sento persa ma non mi arrendo anche se sento che l’energia mi sta lasciando; lì, in quel posto, so che c’è qualcosa che mi appartiene.

La parola ‘ albero ’ mi viene suggerita da Simonetta.

Un albero…in questo luogo come si presenterà un albero? Mi domando.

La risposta è immediata e decine di alberi mi sfilano davanti e formano un bosco insolito fatto di esseri a forma di albero.

Tante chiome, tanti rami, tronchi capovolti con le radici che vanno a toccare il cielo, altri con foglie che penetrano nella terra.

Di nuovo l’energia scende, mi sembra di non avere più forze, non riesco a trovare nessun albero al quale sento di appartenere.

Sempre tenendo gli occhi chiusi che ormai sembrano bloccati in quella posizione, lo dico a Simonetta. Lei mi incoraggia a continuare la ricerca, l’arcano sconosciuto che tengo tra le mani mi aiuterà.

Un imperioso colpo di vento spazza via il paesaggio lasciando a terra un deserto abitato solo da due piante. Sono due alberi che mi trovo dietro alla mia spalla sinistra e alla mia spalla destra.

Uno è solido, vitale, con pochi rami ma mi rassicura. Mi ci posso appoggiare senza timore di cadere.

L’altro appare come un grande cespuglio…o meglio…come un mezzo cespuglio cresciuto male, solo a metà, come se qualcuno si fosse impegnato a staccare l’altra mezza chioma.

Mi viene da pensare che la natura difficilmente crea simili piante, questa può essere opera di intervento umano.

Simonetta mi fa scorrere altri arcani tra le mani mentre gli occhi restano a guardare dentro ma anche a spaziare “fuori” nell’etere. Sono luoghi lontani dalla materia ma sembrano più chiari e accessibili da ciò che abitualmente mi circonda, che si chiama realtà.

Non ho ricordi successivi di come sia finita la seduta, mi restano nel cuore la delicatezza, la partecipazione e l’empatia di Simonetta.

Lascio il suo studio con addosso tanta adrenalina contenuta in un involucro di rassicurazione, sono forze nuove, energie inedite e sconosciute. Come se mi fosse stata regalata una magica piuma capace di allontanare il fastidio e il dolore ma anche capace di raccogliere il buono e il bello.

Passano i mesi, di tanto in tanto le immagini si insinuano nella realtà quotidiana come se ci fosse qualcos’altro da vedere.

Il cespuglio deforme continua a restare nei miei pensieri, da esso provengono le mie radici paterne. Mi sembra che desideri essere visto, curato, riconosciuto.

Qualche tempo dopo ritrovo un documento che ho ricevuto casualmente tanti anni prima e che non ho mai approfondito. Mai avrei pensato quanto mi appartenessero quelle parole scritte a macchina e ciclostilate.

La storia risale alla fine del 1600 quando un ricco signorotto del faentino riesce a spezzare una famiglia e per decreto testamentario, imporre che questa divisione divenisse perpetua.

La famiglia spezzata porta il cognome Baldini.

Il documento racconta come si sono verificati i fatti e riporta il testamento del signorotto in questione.

Fino agli anni 2000, quando gli eredi decidono di interrompere il mandato testamentario, sono stati riconosciuti a livello sociale due rami dei Baldini: i Baldini del Bacio- privilegiati e ricompensati – e i Baldini dello Schiaffo- denigrati e rifiutati.

Io mi chiamo Baldini e appartengo al secondo ramo e lo so solo adesso. In famiglia non se è mai parlato.

Ho la sensazione che le radici di quel cespuglio ritrovato con l’aiuto di Simonetta abbia bisogno di humus per riprendere il giusto tono che la natura richiede per poter restare in vita.

Quelle radici ora vengono alimentate grazie al lavoro e alla sensibilità di Simonetta.

Grazie.

Baldini Alda